N.B: il calendario e l’effettivo svolgimento dei riti sono da verificare, in base alle vigenti disposizioni in materia di misure anti-covid.
Vivere una sagra di campagna è davvero un’esperienza unica e vera. Che ti rende partecipe di un rito collettivo intriso di monopolitanità a piene mani. È inoltre una felice idea per una cena inusuale, low cost, divertente, con tanta musica popolare e cibo da strada anzi da re.
E quindi se sei a Monopoli conviene darlo uno sguardo al calendario delle sagre di campagna. Iniziano a maggio e terminano a ottobre, perché qui l’estate è sinonimo di festa e allora inizia prima e finisce dopo, quando altrove è già autunno.
La sagra è una festa particolarissima dove si ripete un copione collaudato da almeno due secoli. La festa si sdoppia, religiosa e civile. Al triduo di preghiera, rosario e processione pomeridiana, segue la festa dei balli di gruppo e l’immancabile sagra gastronomica, con sfiziose bancarelle di contorno, la banda, i fuochi d’artificio e le gare sportive tra i contradaioli.
Le sagre svelano il lato festaiolo dei monopolitani. Non solo in campagna ma anche in città, con le feste parrocchiali. A fine maggio a Regina Pacis poi a giugno Sacro Cuore, Sant’Antonio, San Giovanni, San Pietro e Paolo. E a luglio Carmine e Sant’Anna. Mentre ad agosto San Salvatore. Come dire che la chiesa del posto in città custodisce il patrono di quartiere, mentre in campagna il santo è di contrada.
Ed è proprio oltre le mura cittadine che questa tradizione festaiola ha avuto di sicuro le sue origini. In quella campagna dove buona parte dei monopolitani vive stabilmente tutto l’anno. E dove la vivacità delle casette, dei trulli, si anima di nuove presenze, e anche villeggianti e turisti, quando sale la calura.
Vivere la sagra significa ritornare alle radici del folklore monopolitano in una città che è famosa per le sue tante contrade. Saranno almeno 100?. Provate a contarle tutte. Ma sappiate che ogni contrada è un piccolo mondo a sé. E in alcuni casi d’estate, non solo le più grandi, ma anche le più piccole, organizzano la tanto attesa sagra. E ci sono sagre cosi tanto antiche da essere ormai, purtroppo dimenticate. Come la sagra di Soluco in collina, che i più attempati ricordano con le luminarie ad acetilene.
Non è forse vero che nell’Antico Testamento per la dedicazione della Tenda nel deserto con l’Arca dell’Alleanza il re Davide canta, suona e balla e infine distribuisce cibo ai presenti. Nei primi tempi del cristianesimo ballare e condividere il cibo faceva anche parte della liturgia di consacrazione delle chiese. E chissà se non tragga ispirazione proprio da quei tempi, la tradizione delle odierne sagre. Parola che deriva dal latino sacrum. Sì perché si svolge in giorni festivi. Ma anche perché sono sacre feste per propiziare il buon raccolto. Per questo vengono tuttora celebrate davanti alle chiese, quindi sul sagrato. Perché sacro è il giorno (sabato e domenica) ma lo è anche il luogo. Nel giorno più importante dell’anno per i contradaioli, quello del rinnovo delle dedicazione della chiesetta al santo che spesso dà il nome alla contrada. Una sorta di sacro compleanno. Un po’ come avveniva, neanche a dirlo, con gli antichi romani in occasione della dedicatio dei templi e negli anni a seguire, sempre nello stesso giorno e con una festa, allora sì, pagana. Di quei tempi resta l’hic et nunc dei latini, il “qui e ora”, ossia quel momento da vivere senza proroghe e senza rimpianti, perché bisogna solo esserci.
E allora lasciati trascinare da un sano misticismo. Senza forchette e galateo da rispettare, ma a mani nude per addentare fuori dagli schemi, la pietanza di turno. Sacra è la festa, buona è la sagra, per gustare l’ospitalità dei contradaioli, eterna come la voglia di fare festa sotto il cielo stellato nella città che è ormai pronta a sfidare il guinness dei primati con il suo calendario di sagre. Sono così tante quasi quanto quelle contrade difficili da contare.